Minibond, la finanza che non si vede: l’Italia tra credito bancario in ritirata e advisor in trincea
Minibond, la finanza che non si vede (ma che serve): l’Italia tra credito bancario in ritirata e advisor in trincea
Quando il credito bancario arretra, o si nasconde dietro nuovi regolamenti e algoritmi, le imprese che vogliono crescere non hanno più tempo per aspettare l’umore del direttore di filiale.
Nel silenzio generale, a riempire questo vuoto è arrivato un piccolo esercito di strumenti finanziari “ibridi”: i minibond. Titoli di debito emessi da società non finanziarie, spesso PMI, che cercano capitali sul mercato invece che in banca.
Un meccanismo ancora elitario, poco compreso, ma — numeri alla mano — in netta ripresa.
L' 11° Report Italiano sui Minibond del Politecnico di Milano, pubblicato ad aprile 2025, lo dice senza giri di parole: il mercato, dopo la frenata del 2023, ha ricominciato a muoversi.
Nel 2024 le emissioni sono salite a 208 operazioni, per una raccolta complessiva di 1,5 miliardi di euro, con un incremento del 32%.
La parte del leone l’hanno fatta le imprese più strutturate, ma quasi due terzi delle nuove emittenti restano PMI. Il che dimostra che, nonostante tutto, la voglia di autonomia finanziaria cresce.
Solo che, come spesso accade in Italia, il problema non è lo strumento. È il sistema.
Il report lo dice con eleganza accademica: servono più advisor indipendenti, radicati sul territorio, capaci di accompagnare le imprese nella definizione strategica, nel business plan, nel dialogo con investitori e istituzioni. Tradotto: servono professionisti veri, non venditori di tassi.
Tra i nomi citati nel documento del Politecnico spicca anche Italfinance, a testimonianza di come alcune realtà abbiano ormai consolidato un ruolo riconosciuto nel Debt Capital Market italiano, soprattutto per le PMI.
Ma il dato più interessante è un altro.
Il Politecnico non parla solo di finanza alternativa, ma di finanza combinata: la logica di integrare credito bancario, agevolazioni pubbliche e mercato dei capitali. È la direzione in cui bisogna andare, perché il minibond da solo non basta.
Ha bisogno di garanzie pubbliche (MCC, SACE), di incentivi fiscali (Transizione 5.0), e di una visione strategica che colleghi il debito agli investimenti reali.
Nel 2024, il 22% dei minibond emessi era coperto da garanzie, e il 15% legato a obiettivi ESG. Segno che la sostenibilità non è più una parola di moda, ma una variabile finanziaria concreta.
Eppure il quadro resta fragile: il 78% delle emissioni avviene ancora senza coperture, con tassi medi superiori al 6,5%. In altre parole: chi non sa spiegare il proprio progetto, paga di più.
È qui che si misura la differenza tra il finanziatore e l’advisor.
Il primo si limita a erogare, il secondo costruisce.
E se l’Italia vuole davvero emanciparsi dal debito facile e dal credito assistito, dovrà imparare a costruire di più e chiedere di meno.
E come direi io: “Più finanza combinata, meno improvvisazione”.
Spiegare alle imprese che la finanza non è un fine, ma un mezzo.
E che dietro ogni numero c’è una scelta. Sempre. Perché la vera rivoluzione, oggi, non è tecnologica ma culturale.
Per avere informazioni sulla finanza combinata :
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